Le personas devono creare problemi: sei indizi per scoprire se sono inefficaci.

Mar 27, 2019

Nicolò è un architetto di 32 anni. Decisamente un tipo di bell’aspetto, la sua vita si divide tra Milano e Parigi dove ha un pied-à-terre che gli permette di dar sfogo al suo carattere dinamico e cosmopolita. È un appassionato di arte moderna e di innovazione tecnologica e fin da quando ha intrapreso la sua professione si è focalizzato sul successo personale e sull’arricchimento culturale, alimentati anche da una grande passione per i viaggi.

Tra l’inaugurazione di una mostra e uno spostamento in business class, Nicolò trova comunque il tempo di interessarsi di politica sia nazionale che estera, argomenti che gli servono per intrattenere gli amici quando, a sera, si concede un meritato aperitivo in un locale esclusivo di Milano. Sempre che non sia impegnato a praticare sport o nel realizzare fotografie per la sua prossima esposizione.

Quanti Nicolò hai conosciuto nella tua vita? Probabilmente nessuno. Non perché lo stile di vita di Nicolò sia riservato, e neanche perché tu non frequenti “i giri giusti”.
Il punto è che Nicolò non esiste.

Nella realtà non esiste una categoria di persone in grado di coniugare così tanti luoghi comuni sull’essere “top” e, se anche esiste una ristretta élite di persone che somigliano in qualche aspetto a Nicolò, le informazioni che abbiamo su di lui ci sono completamente inutili.

Le personas rassicuranti e le personas utili per il lavoro.

Eppure Nicolò è stato creato proprio perché fosse utile: è una persona ideata qualche tempo fa per un brand di accessori.Quando ho chiesto attraverso quale processo fosse stato creato, ho scoperto che era stata svolta un’indagine sui consumatori attuali, erano stati estratti i tratti più aspirazionali e positivi di quella categoria demografica ed erano stati poi romanzati in due personaggi, uno maschile e uno femminile.

Nicolò e Ludovica rappresentavano, in sostanza, un ideale di “super consumatore” che rassicurava il cliente ma che non aveva alcuno scopo a livello funzionale e di lavoro.
Quali problemi ha Nicolò? In quale modo possiamo aiutarlo? Su cosa possiamo concentrarci per rendere più rapidi, convenienti o facili le attività che deve compiere?

Le personas devono creare problemi.

Spesso quando entro in un’azienda vengono orgogliosamente presentate slide con descrizioni di personasaccuratissime e splendidi sorrisi da banca immagini. Come gli album delle foto di famiglia, mi vengono mostrate più per prendere confidenza con l’azienda o per commentarle insieme che per essere realmente utilizzate nel lavoro.

Altre volte incontro l’atteggiamento diffidente di chi è rimasto scottato: decine di migliaia di euro spese per creare tre, quattro, sette, una dozzina di personas. E ci fosse un solo collaboratore che le abbia mai usate. Chiediamo allora ai collaboratori perché non le utilizzano e la risposta è semplice: perché non sappiamo che farcene. Stanno lì, ci guardano, sorridono, come personaggi di un fotoromanzo. Ma non ci dicono niente riguardo a come dovremmo lavorare e su cosa. 

Facciamo un passo indietro: a cosa serve creare le personas? Il loro scopo è facilitare l’individuazione di problemi da risolvere attraverso l’osservazione, l’empatia e la verifica sul campo. In pratica devono creare dei problemi, ovvero rendere evidenti una serie di ambiti di intervento e di criteri di progettazione che dovremmo seguire. Chiunque ne potrebbe pensare “questa persona si comporta proprio come un tizio che conosco” e, soprattutto, non ci spingono ad analisi psicologiche alla ricerca di chissà quali pensieri, ma ci portano a comportamenti, aspirazioni e necessità che possono essere condivisi da molti individui nella realtà.

Sei caratteristiche delle personas inefficaci.

Quando le personas non vengono costruite in modo corretto sono come qualcuno che sta alla stessa festa in cui siamo noi ma col quale non ci viene voglia di parlare. Osservando le personas inefficaci nel tempo ho notato che hanno una o più di queste caratteristiche: 
(A titolo di esempio, il nostro povero Nicolò le ha tutte)

1) Sono felici 
Una persona felice è una persona che non ha problemi o difficoltà. La sua storia, quindi, non ci dà alcuno spazio di miglioramento, è l’esatto contrario di ciò che ci serve per lavorare. A meno che non vogliamo creare uno strumento di autoincensamento, come nel caso di Nicolò, creare personas soddisfatte e compiaciute avrà come unico effetto la perdita di tempo e di risorse perché ciò che stiamo descrivendo non è un punto di partenza, ma una descrizione di come vorremmo fosse il punto d’arrivo.

2) Sono disinteressate 
Un criterio fondamentale quando si progetta intorno al cliente è comprendere come misura il valore che riceve da un prodotto o servizio. Non vuole semplicemente portare a compimento un’attività, soddisfare un bisogno o appagare un desiderio: vuole farlo più rapidamente, più facilmente, in modo più economico rispetto a come lo fa attualmente. Se le personas che creiamo non desiderano almeno uno di questi vantaggi, significa che stiamo raccontando una storia inverosimile e stiamo perdendo informazioni importanti. Nicolò, oltre a essere una persona realizzata, sembra avere un’altissima disponibilità economica, tempo libero per dedicarsi liberamente ai propri interessi e delle doti intellettuali, relazionali e fisiche che non pongono alcun ostacolo tra sé e ciò che vuole realizzare. A cosa darà valore, allora, quando sceglie qualcosa?

3) Sono estranee 
In questo articolo Alan Klement spiega per quale motivo i dati demografici relativi alle personas devono essere esposti in modo tale da non creare nella mente dei collaboratori conclusioni basate su stereotipi e deduzioni fallaci. Klement, però, dà una soluzione complessa a un problema che non dovrebbe emergere. Nel Business Design le personas non vengono create esternamente e poi imposte, ma vengono ideate in modo inferenziale e collaborativo direttamente dal gruppo di lavoro. La definizione del mercato e la genesi delle personas sono fasi del processo di lavoro e sono svolte a partire dalle conoscenze personali, che vengono messe a fattor comune e rielaborate in gruppo proprio per non creare la possibilità che si generino i bias di cui parla Klement. Se le personas create risultano estranee, difficilmente i collaboratori potranno empatizzare e comprendere a fondo motivazioni e comportamenti, così come ci viene difficile immaginare i processi di scelta di Nicolò.

4) Sono misteriose o esotiche 
Spesso negli esercizi di empatizzazione per creare le personas alcuni hanno la tentazione di cedere alla creatività. Troviamo allora personas che svolgono lavori improbabili, che suonano l’ottavino o che hanno come animale domestico un manul. Oppure si verifica il caso contrario: personas che hanno 25-35 anni, che sono sia maschi che femmine, che vivono in una città di medie dimensioni non ben localizzata tra Tunisi e Oslo. In entrambi i casi la descrizione ci impedirà di arrivare a informazioni rilevanti: la troppa creatività ci spinge a focalizzarci su particolari irrilevanti e non applicabili ad altri individui, l’indeterminazione ci preclude la possibilità di accedere a informazioni potenzialmente utili. Sapere che Nicolò ha un pied-à-terre a Parigi ce lo fa invidiare e magari pensare che sia opportuno fornire un servizio di assistenza accessibile dalla Francia, ma quanti clienti frequentano così assiduamente la Ville Lumière? E sapere quali tipologie di sport pratica non sarebbe più utile per progettare e testare una linea di accessori ad hoc?

5) Hanno la puzza sotto al naso 
Non è necessario peccare di creatività per portare fuori rotta la creazione di una persona. Un’altra tendenza pericolosa, ben rappresentata da Nicolò, è quella di descrivere una versione idealizzata dei clienti anziché la loro realtà quotidiana. Ci troviamo quindi a lavorare su dei best case che rappresentano il 5%, se non l’1%, del nostro mercato. Una élite di illuminati che ci spinge a sottovalutare un aspetto fondamentale: gli ostacoli e le difficoltà che i clienti vivono. La prima regola nell’approccio del designer è sempre progettare per chi ha difficoltà, non per chi non le ha.

Margaret Price, in un articolo molto interessante, introduce l’idea di “persona spectrum” per progettare efficacemente l’usabilità dei dispositivi a partire dal concetto allargato di difficoltà e non dal caso specifico. Ciò che invitiamo a fare quando facilitiamo la creazione di buyer personas è chiedersi quanto una determinata situazione sia diffusa in un mercato e, quindi, quale significatività possa avere. Con buona pace di Nicolò, che difficilmente potrà essere un esempio realmente utile.

6) Sono apatiche
Il lavoro sulle personas è un lavoro di indagine. La prima immagine che viene in mente quando si pensa a questo termine è la parete degli uffici di polizia piena di foto, appunti, fili rossi che collegano le cose. Costruire e indagare le personas è un’attività dinamica e inferenziale, in cui è necessario formulare ipotesi, testare assunzioni, modificare elementi. Una persona come Nicolò, che vive sulla slide di una presentazione e rimane lì, annoiato e immutabile tra i suoi aperitivi e le mostre d’arte, non ci permette di inserire nuovi elementi, trovare connessioni, confutare tesi. In sostanza: non è uno strumento di lavoro.

Concepire i personas come strumenti per creare problemi.

Una persona come Nicolò, abituata ad avere successo in tutto, sicuramente vorrà sapere cosa fare, a questo punto, per essere realmente utile.
Uno degli elementi più potenti del Business Design è la possibilità di creare i propri strumenti di lavoro: anche nel caso delle personas.

Dobbiamo, quindi, farci prima di tutto una domanda: a cosa mi deve servire questo strumento?
Il primo passo, dunque, è individuare un obiettivo di progetto alla luce del quale l’esistenza di Nicolò acquisti un senso.

Poniamo ad esempio che il brand, produttore di borse e accessori in pelle di alto profilo, voglia approcciarsi al mercato in modo nuovo tecnologizzando la propria offerta. Attenzione: in questo momento non sappiamo ancora a che tipo di soluzione potremmo arrivare, potrebbe essere la concezione di un nuovo wearable come un portafogli che morde la mano al raggiungimento del limite di spesa prefissato. In questa fase dobbiamo dimenticare l’offerta esistente e focalizzarci sul trovare un problema da risolvere.

Rendere le personas credibili e coerenti.

Torniamo a Nicolò e cerchiamo per prima cosa di capire dove la sua persona è stata esagerata e resa irreale.
Il primo elemento che balza all’occhio è la sua giovane età confrontata con il livello di successo e lo stile di vita estremamente godereccio e mondano che può permettersi a livello di tempo e di spesa. Questi elementi insieme sono romanzati e irreali, per cui dobbiamo operare una scelta.

Nicolò è un architetto emergente, che a uno sguardo sincero lavora moltissimo. 
Sa di essere talentuoso, ma nel suo ambiente c’è tanta competizione e questo lo porta a passare molte ore al computer perché i suoi progetti siano perfetti.

Suona già più umano così. Pensiamo ai giovani talenti che conosciamo: nel momento in cui si focalizzano sul lavoro anche se ne hanno una prima gratificazione economica non si fermano e, soprattutto, non sperperano soldi con leggerezza perché sanno quanta fatica sono costati.

Le sue uscite non sono così frequenti come vuol far credere ma sono per lui occasioni da sfruttare per attirare nuovi clienti e farsi conoscere. Ha dovuto affittare un minuscolo monolocale a Parigi per poter seguire un progetto che inizialmente sembrava la svolta, ma si sta rivelando un’enorme fatica.

Ora non solo Nicolò è più umano, ma si è anche tolto quel sorriso di rappresentanza e ci sta svelando le sue frustrazioni.

Quattro volte al mese deve recarsi in loco per degli incontri e, considerato quanto spende per l’affitto, spesso è costretto a prendere compagnie low cost per il viaggio, più scomode ma più economiche.

Le personas efficaci sono banali.

Ora possiamo ripeterci la domanda: quanti Nicolò abbiamo conosciuto?
Se ci guardiamo intorno possiamo incontrare ogni giorno giovani professionisti che sfruttano tutte le proprie energie per emergere a livello professionale. Possiamo immaginare che cerchino un equilibrio tra il fare economia e il rappresentarsi come persone di successo, prendendo minuscoli appartamenti e voli low cost, ma sfoggiando abiti eleganti a qualche evento mondano.

Ora che Nicolò ci sembra un po’ più vicino, meno snob e un po’ più umano e, soprattutto, ora che potremmo avere un’ipotesi su ciò che per lui può aver valore, dobbiamo scoprire perché non è felice.

Passa le giornate tra la scrivania e il correre da una parte all’altra con la borsa da lavoro per cercare di soddisfare tutti. Torna a casa stremato la sera, con la schiena a pezzi. “Se continuo così a quarant’anni sembrerò un ottantenne”, si dice, “devo fare qualcosa”.

Ecco un problema nel quale probabilmente possiamo aiutarlo. Nicolò ha provato ad andare in palestra, ma la sua routine non gli permette di essere costante. Ha provato a comprare zaini ergonomici, ma lui è affezionato alle borse a tracolla, che fanno meno manager e più creativo. E poi le cose ergonomiche danno una postura da ragazzino di terza media.

E se…?

E se la sua borsa, attraverso dei sensori, raccogliesse dati sul peso portato, le ore in cui viene indossata e sul modo in cui si sbilancia la sua schiena? 
E se, a sera, gli proponesse attraverso il suo smartphone degli esercizi di stretching compensativi specifici per lui?
Probabilmente Nicolò andrebbe a letto più felice e rilassato, conserverebbe l’immagine che vuol dare e non butterebbe più soldi in palestre che non può frequentare e zainetti che non vuole indossare.

In fondo il processo corretto non è creare personas sorridenti, ma personas da far sorridere.

Autrice: Carla Pinna

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